L’obbligo di vigilanza sull’alunno e la responsabilità della scuola

L’obbligo di vigilanza sull’alunno e la responsabilità della scuola
06 Luglio 2020: L’obbligo di vigilanza sull’alunno e la responsabilità della scuola 06 Luglio 2020

Con l’ordinanza n. 12410, pubblicata il 24 giugno 2020, la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di obbligo di vigilanza sugli alunni e responsabilità civile della scuola.

Nel caso di specie, l’alunno di un Istituto scolastico di Cagliari era inciampato durante la ricreazione, cadendo addosso ad un compagno, che a sua volta era finito per sbattere il volto sul pavimento, fratturandosi così tre denti.

A seguito del sinistro, il minore era stato sottoposto a dolorose e costose cure ed aveva riportato un danno, accertato tra 0,5 e 1 punto percentuale di invalidità permanente.

I genitori del danneggiato avevano convenuto quindi in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Istituto scolastico, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dal minore.

In particolare, gli attori deducevano la sussistenza di una responsabilità della scuola per culpa in vigilando.

Il Tribunale di primo grado, tuttavia, aveva rigettato la domanda di risarcimento, affermando come nel caso di specie “non vi fosse alcuna peculiare situazione di pericolo”, e che “fosse stata adeguatamente predisposta una idonea vigilanza con due insegnanti all'interno della classe”.

Inoltre, il danno era derivato ”da un gesto repentino dell'alunno, non prevedibile né evitabile neppure a mezzo di una presenza costante e attenta”.

La Corte d’appello di Cagliari, adita in secondo grado dai genitori, confermò la sentenza di primo grado.

I genitori proposero, infine, ricorso per Cassazione, censurando, tra le altre, la violazione e/o falsa applicazione degli art. 2043, 2048 c.c..

In particolare, secondo la tesi dei ricorrenti, nel caso all'esame occorreva far riferimento all'art. 2048 c.c., in base al quale l'onere probatorio del danneggiato sarebbe meno gravoso rispetto a quello previsto in caso di applicazione dell'art. 2043 c.c. e si esaurirebbe nella dimostrazione che il fatto si è verificato nel tempo in cui il minore è rimasto affidato alla scuola, mentre spetterebbe all'insegnante dimostrare di non aver potuto impedire l'evento (prova liberatoria che, tuttavia, non sarebbe stata fornita bel caso specifico).

Conseguentemente, sempre secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata sarebbe incorsa altresì nella violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in quanto l’Istituto scolastico ed il Ministero non avrebbero fornito alcuna prova liberatoria.

Il Collegio di Piazza Cavour, tuttavia, ha respinto il ricorso dei genitori, “avendo la Corte di merito, con giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, ritenuto l'assoluta repentinità e imprevedibilità dell'evento nonché l'insussistenza di una condotta negligente delle insegnanti e della mancata adozione di misure idonee di preventive di tipo organizzativo o disciplinare”.

Inoltre, la Corte fa notare che, quanto alla denunciata violazione delle norme di cui agli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., i ricorrenti avevano lamentato soltanto un'erronea valutazione delle prove e non un errore nell’applicazione della regola di giudizio.

Infatti, ha evidenziato la Corte, “la violazione dell'art. 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 cod. proc. civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è rubricato «Valutazione delle prove”.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei genitori, condannandoli al pagamento delle spese di giudizio.

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